
Se ti spostato a mansioni inferiori sul lavoro hai diritto ad un risarcimento - Ilrichiamodellaforesta.it
Ti spetta un risarcimento se in azienda se stato spostato a mansioni inferiori: la nuova sentenza che cambia il mondo del lavoro.
La modifica unilaterale delle mansioni di un lavoratore dipendente può comportare conseguenze legali significative, in particolare quando si configura un demansionamento che comporta una perdita qualificata delle competenze professionali acquisite.
La recente sentenza n. 24133 del 2025 della Corte di Cassazione ha ribadito con forza che il depotenziamento professionale ingiustificato dà diritto a un risarcimento danni.
Demansionamento: la vicenda che ha portato alla pronuncia della Cassazione
Il caso all’origine della sentenza riguarda un lavoratore subordinato che aveva impugnato un provvedimento aziendale con cui era stato assegnato a mansioni inferiori rispetto al suo profilo professionale originario. La società datrice aveva trasferito il dipendente dal settore delle Risorse Umane, dove vantava oltre 26 anni di esperienza e competenze consolidate in organizzazione del lavoro e relazioni sindacali, a un settore informatico, con compiti marginali e non qualificanti.
Il tribunale di primo grado aveva respinto la domanda del lavoratore, ma la Corte d’Appello, in parte accogliendo il ricorso, aveva condannato l’azienda a corrispondere oltre 50mila euro a titolo di risarcimento per la dequalificazione professionale, oltre a interessi e rivalutazione monetaria. La società aveva quindi proposto ricorso in Cassazione, contestando la fondatezza della dequalificazione e la valutazione equitativa del danno. I giudici di Piazza Cavour hanno respinto il ricorso, confermando la sentenza della Corte d’Appello.
La Corte ha sottolineato come la società avesse effettuato una riorganizzazione interna nel 2009, ma senza fornire alcuna motivazione valida né formazione adeguata al lavoratore per il cambio di mansioni. La Cassazione ha rilevato che il lavoratore era stato assegnato a mansioni che non solo non corrispondevano al suo profilo professionale (inquadrato come Quadro Q7), ma erano anche di natura estremamente modesta rispetto alle competenze accumulate nel settore HR. Inoltre, la decisione aziendale aveva comportato una dislocazione logistica e un isolamento dal gruppo di lavoro, aggravando il danno professionale e personale.

La Corte ha evidenziato che il demansionamento senza giustificato motivo e senza percorso formativo configura una lesione della dignità e delle prospettive di carriera del lavoratore, e pertanto dà diritto a un risarcimento. La sentenza conferma e si inserisce in un consolidato orientamento giurisprudenziale della Cassazione, che in precedenti decisioni (es. n. 21/2019 e n. 34073/2021) ha definito i criteri per individuare e quantificare il danno da dequalificazione professionale. Il lavoratore deve dimostrare il danno con elementi precisi e concordanti, basandosi su:
- la qualità e quantità del lavoro precedentemente svolto;
- il tipo e la natura della professionalità coinvolta;
- la durata del demansionamento;
- la diversa collocazione lavorativa assunta;
- l’anzianità di servizio.
Non è necessario, quindi, dimostrare una perdita di chance o un danno patrimoniale immediato, ma può essere sufficiente la prova dell’impoverimento delle capacità professionali e della mancata valorizzazione del know-how acquisito. La pronuncia rappresenta un importante punto di riferimento per i lavoratori dipendenti che subiscono trasferimenti a mansioni inferiori o marginali rispetto al loro profilo professionale. Ad esempio, un impiegato amministrativo con esperienza pluriennale nella gestione del personale non può essere dequalificato senza giustificazioni e adeguata formazione, con l’assegnazione a compiti di archiviazione documentale o attività informatiche elementari.
Analogamente, un tecnico con lunga esperienza non può essere relegato a mansioni di segreteria o front-office che non valorizzano le sue competenze specifiche. L’importante novità sottolineata dalla Cassazione è che il risarcimento non si limita alla perdita economica immediata, ma tutela in modo ampio la dignità professionale e la prospettiva di crescita del lavoratore. Per far valere questo diritto, è essenziale raccogliere documentazione, testimonianze e altri elementi che dimostrino il concreto depotenziamento delle proprie capacità e dell’esperienza maturata.